ℒei - chiamiamola Pierina - abortì quando aveva 15 anni.
Da una parte fu fortunata perché era già in Inghilterra quando successe la cosa e, in quegli anni, l’Inghilterra era il miglior posto dove una ragazzetta imbecille potesse rimanere incinta, visto che in Italia l’aborto era proibito. Dall’altra scoprì, con orripilato stupore, che poteva senz’altro abortire ma che - i reati, a volte, sbucano da dove meno te lo aspetti - aveva infranto la legge facendo l’amore, visto che aveva meno di 16 anni. O meglio: la legge l’aveva infranta il ragazzone svizzero-più-che-ventenne che l’aveva messa in tanto casino, ma lei era la teste a suo carico, pareva, e venne una furgonetta della polizia a prenderla e a portarla via, non appena la notizia si seppe, e la interrogarono nel commissariato inglese e lei li guardava esterrefatta, questi poliziotti che volevano il nome di lui, e l’unica cosa che riusciva a pensare era che, arrivati a quel punto, non si poteva evitare di telefonare a papà.
“Pronto, papà? Ti devo dire una cosa. Sei seduto? Forse è meglio che ti siedi.”
L’aborto era legale, in Inghilterra, ma ci voleva il permesso del papà, per farlo a quell’età. Così come solo il papà poteva dichiarare alla polizia che, no, nessuno aveva intenzione di denunciarlo, il ragazzone svizzero.
L’interculturalità si impara anche così: provenendo da un paese dove si può fare l’amore ma non abortire, e finendo in un paese dove puoi abortire ma non avresti dovuto fare l’amore.
Il padre arrivò e dovette darlo davanti a un medico inglese, il suo consenso all’aborto. Solo che non parlava inglese, lui. Lei fece da interprete tra i due adulti, quindi, ed è strano limitarsi ad essere interpreti nei discorsi destinati a segnare la tua vita. Strano, sì, ma se ne fanno tante, di cose strane. Quei due adulti le parevano affidabili, in fin dei conti. E poi stava imparando che non ha prezzo, la civiltà. Questa scoperta prese il sopravvento, lì per lì.
Il medico disse che lei era comunque fisicamente troppo piccola per portare avanti una gravidanza: avrebbe avuto un sacco di problemi, era pericoloso. Il padre, toccandosi la fronte per farsi capire anche a livello gestuale, disse che era troppo piccola anche psicologicamente. Ci furono firme, saluti sobri e un’ultima frase del medico, rivolta a lei: “You have a good father.” “I know”, rispose lei.
Negli ospedali inglesi ti chiedono qual è la tua religione, quando ti ricoverano. Forse per sapere che tipo di sacerdote recapitarti, qualora le cose si mettessero male. Lei diede una risposta profondamente, rabbiosamente cattolica: “Sono atea”, disse. Non c’era altro da dire, in un momento così. Poi le spiegarono cosa le avrebbero fatto. “È come una specie di aspirapolvere”, le dissero. “Ok, ho capito”, disse lei. Nel 1970 e rotti, le adolescenti italiane sapevano tutto sull’argomento, proprio perché non era ancora legale, da noi. Lo imparavi col biberon della politica, che esistevano il raschiamento e l’aspirazione. Si sentì fortunata.
Poi dormì, poi si risvegliò e poi se ne andò, e si fece lasciare dal taxi sulla strada principale del paese, davanti al ristorante più bello. Un ristorante spagnolo, era, con le verdure e l’olio d’oliva. Aveva fame, e voglia di gratificarsi. Ordinò le cose più buone che c’erano nel menù, poi tornò a casa a piedi, determinata ad essere già guarita e a non essere convalescente nemmeno per un attimo, a uscire immediatamente da quella storia, a non farne più parte nemmeno per un secondo.
Poi il viaggio a Londra, forse il giorno dopo, e il ritorno in Italia. La valigia pesante, il taxi a Heathrow e il taxista che le sibila un ironico “Thank you!”, quando lei non gli lascia la mancia, e lei che pensa: “Ma io sono piccola!”. Ma davvero se l’aspettava da una bambina, la mancia, quello lì? È che proprio non ci si intendeva su cosa comportasse l’essere piccole, lungo l’asse Italia-Inghilterra.
Dentro l’aeroporto ebbe l’emorragia. Prima i dolori, però. Tremendi. Andò in farmacia e, candida, comunicò: “Ho appena abortito e mi fa male la pancia, cosa posso prendere?” Le dissero che, uhm, meglio che andasse in infermeria. Andò in infermeria e mancava un’oretta al volo. Le dissero di prendere l’aereo e amen e lei - che, appunto, era piccola e poco furba e non ci pensò, che volessero semplicemente togliersi un problema - prese l’aereo e atterrò a Milano pallida come uno straccio e sentendosi malissimo.
E in Italia l’aborto era proibito, come dicevo. Ti spiego cosa successe, quindi.
Successe che le presero una camera d’albergo, alla bambina, in modo da tamponare l’eventuale scandalo con tanto di arresto che si vedeva far capolino all’orizzonte, e che per fortuna ci sono gli amici, al mondo: venne un medico amico di suo papà, a curarla in albergo, e finì così. Si rimise in sesto, scansando il pericolo di finire in ospedale e di vederli arrestati entrambi, suo papà e il medico.
Siccome era molto piccola, sia fisicamente che psicologicamente, si incazzò pure come una biscia quando, ad avventura conclusa, il padre accennò a un minimo di predica. Le parve pedagogicamente inutile e umanamente offensiva, la predica, e manco la sfiorò il pensiero che anche suo padre fosse umano, dopotutto, e che farle un cazziatone potesse farlo sentire meglio, dopo tanto casino. No. Si offese e basta. Che il cielo li perdoni, i figli, certe volte.
Nella vita non c’è niente che non si paghi. Si impara a metabolizzarle, certe cose, ma dubito che ci siano in giro molte donne disposte a raccontare come ci si sente. Sono cazzi nostri. Nulla di cui parlare.
Ma doversi anche nascondere, doversi curare da clandestine, sapere in ogni momento che dipende dai soldi della tua famiglia, il tuo destino, e che ti bastava nascere da un altro padre per morire o farti succedere chissà cosa, e sapere che non hai diritti e che si gioca tutta e solo sul privilegio, la partita, e che se qualcosa va male ti verranno a prendere in quell’albergo, metteranno le manette a tuo padre, rovineranno il medico pallido come un cencio che ti cura con l’aria di stare peggio di te e, comunque, ti faranno pagare in ogni modo, nel più efferato dei modi, il reato di avere fatto l’amore senza potertelo o sapertelo permettere: ecco, quello non è tollerabile. È insopportabile. È incivile. È da selvaggi, da criminali, da sadici.
Che ci lascino stare, per favore.
Non è il caso di rompere le palle. Davvero.
Da una parte fu fortunata perché era già in Inghilterra quando successe la cosa e, in quegli anni, l’Inghilterra era il miglior posto dove una ragazzetta imbecille potesse rimanere incinta, visto che in Italia l’aborto era proibito. Dall’altra scoprì, con orripilato stupore, che poteva senz’altro abortire ma che - i reati, a volte, sbucano da dove meno te lo aspetti - aveva infranto la legge facendo l’amore, visto che aveva meno di 16 anni. O meglio: la legge l’aveva infranta il ragazzone svizzero-più-che-ventenne che l’aveva messa in tanto casino, ma lei era la teste a suo carico, pareva, e venne una furgonetta della polizia a prenderla e a portarla via, non appena la notizia si seppe, e la interrogarono nel commissariato inglese e lei li guardava esterrefatta, questi poliziotti che volevano il nome di lui, e l’unica cosa che riusciva a pensare era che, arrivati a quel punto, non si poteva evitare di telefonare a papà.
“Pronto, papà? Ti devo dire una cosa. Sei seduto? Forse è meglio che ti siedi.”
L’aborto era legale, in Inghilterra, ma ci voleva il permesso del papà, per farlo a quell’età. Così come solo il papà poteva dichiarare alla polizia che, no, nessuno aveva intenzione di denunciarlo, il ragazzone svizzero.
L’interculturalità si impara anche così: provenendo da un paese dove si può fare l’amore ma non abortire, e finendo in un paese dove puoi abortire ma non avresti dovuto fare l’amore.
Il padre arrivò e dovette darlo davanti a un medico inglese, il suo consenso all’aborto. Solo che non parlava inglese, lui. Lei fece da interprete tra i due adulti, quindi, ed è strano limitarsi ad essere interpreti nei discorsi destinati a segnare la tua vita. Strano, sì, ma se ne fanno tante, di cose strane. Quei due adulti le parevano affidabili, in fin dei conti. E poi stava imparando che non ha prezzo, la civiltà. Questa scoperta prese il sopravvento, lì per lì.
Il medico disse che lei era comunque fisicamente troppo piccola per portare avanti una gravidanza: avrebbe avuto un sacco di problemi, era pericoloso. Il padre, toccandosi la fronte per farsi capire anche a livello gestuale, disse che era troppo piccola anche psicologicamente. Ci furono firme, saluti sobri e un’ultima frase del medico, rivolta a lei: “You have a good father.” “I know”, rispose lei.
Negli ospedali inglesi ti chiedono qual è la tua religione, quando ti ricoverano. Forse per sapere che tipo di sacerdote recapitarti, qualora le cose si mettessero male. Lei diede una risposta profondamente, rabbiosamente cattolica: “Sono atea”, disse. Non c’era altro da dire, in un momento così. Poi le spiegarono cosa le avrebbero fatto. “È come una specie di aspirapolvere”, le dissero. “Ok, ho capito”, disse lei. Nel 1970 e rotti, le adolescenti italiane sapevano tutto sull’argomento, proprio perché non era ancora legale, da noi. Lo imparavi col biberon della politica, che esistevano il raschiamento e l’aspirazione. Si sentì fortunata.
Poi dormì, poi si risvegliò e poi se ne andò, e si fece lasciare dal taxi sulla strada principale del paese, davanti al ristorante più bello. Un ristorante spagnolo, era, con le verdure e l’olio d’oliva. Aveva fame, e voglia di gratificarsi. Ordinò le cose più buone che c’erano nel menù, poi tornò a casa a piedi, determinata ad essere già guarita e a non essere convalescente nemmeno per un attimo, a uscire immediatamente da quella storia, a non farne più parte nemmeno per un secondo.
Poi il viaggio a Londra, forse il giorno dopo, e il ritorno in Italia. La valigia pesante, il taxi a Heathrow e il taxista che le sibila un ironico “Thank you!”, quando lei non gli lascia la mancia, e lei che pensa: “Ma io sono piccola!”. Ma davvero se l’aspettava da una bambina, la mancia, quello lì? È che proprio non ci si intendeva su cosa comportasse l’essere piccole, lungo l’asse Italia-Inghilterra.
Dentro l’aeroporto ebbe l’emorragia. Prima i dolori, però. Tremendi. Andò in farmacia e, candida, comunicò: “Ho appena abortito e mi fa male la pancia, cosa posso prendere?” Le dissero che, uhm, meglio che andasse in infermeria. Andò in infermeria e mancava un’oretta al volo. Le dissero di prendere l’aereo e amen e lei - che, appunto, era piccola e poco furba e non ci pensò, che volessero semplicemente togliersi un problema - prese l’aereo e atterrò a Milano pallida come uno straccio e sentendosi malissimo.
E in Italia l’aborto era proibito, come dicevo. Ti spiego cosa successe, quindi.
Successe che le presero una camera d’albergo, alla bambina, in modo da tamponare l’eventuale scandalo con tanto di arresto che si vedeva far capolino all’orizzonte, e che per fortuna ci sono gli amici, al mondo: venne un medico amico di suo papà, a curarla in albergo, e finì così. Si rimise in sesto, scansando il pericolo di finire in ospedale e di vederli arrestati entrambi, suo papà e il medico.
Siccome era molto piccola, sia fisicamente che psicologicamente, si incazzò pure come una biscia quando, ad avventura conclusa, il padre accennò a un minimo di predica. Le parve pedagogicamente inutile e umanamente offensiva, la predica, e manco la sfiorò il pensiero che anche suo padre fosse umano, dopotutto, e che farle un cazziatone potesse farlo sentire meglio, dopo tanto casino. No. Si offese e basta. Che il cielo li perdoni, i figli, certe volte.
Nella vita non c’è niente che non si paghi. Si impara a metabolizzarle, certe cose, ma dubito che ci siano in giro molte donne disposte a raccontare come ci si sente. Sono cazzi nostri. Nulla di cui parlare.
Ma doversi anche nascondere, doversi curare da clandestine, sapere in ogni momento che dipende dai soldi della tua famiglia, il tuo destino, e che ti bastava nascere da un altro padre per morire o farti succedere chissà cosa, e sapere che non hai diritti e che si gioca tutta e solo sul privilegio, la partita, e che se qualcosa va male ti verranno a prendere in quell’albergo, metteranno le manette a tuo padre, rovineranno il medico pallido come un cencio che ti cura con l’aria di stare peggio di te e, comunque, ti faranno pagare in ogni modo, nel più efferato dei modi, il reato di avere fatto l’amore senza potertelo o sapertelo permettere: ecco, quello non è tollerabile. È insopportabile. È incivile. È da selvaggi, da criminali, da sadici.
Che ci lascino stare, per favore.
Non è il caso di rompere le palle. Davvero.