Censura

bavaglio alla rete delle reti

Data: 30 gen 2006
ultima modifica: 3 feb 2006

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𝒪ggi ho scoperto che in Italia si apprestano sistemi per filtrare IPs tramite i provider. In parole semplici i siti ritenuti illegali non saranno più visibili agli utenti medi anche se sono situati all'estero. Questo è grave.

Per esprimere il problema si consideri la trasmissione Satyricon di Daniele Luttazzi su RAI 2 che nel 2001 fu sospesa perché si riteneva avesse diffamato Berlusconi e Mediaset. Qualche giorno fa Mediaset ha dovuto pagare 30 mila euro a Luttazzi per avere perso la causa.

I filtri di stato passono essere usati con estrema facilità per filtrare diffamazioni, violazioni di marchi, violazioni di copyright, testi contro la morale, testi che falsificano la storia ufficiale, immagini pornografiche. Basta inserire il sito estero in un apposito file e nessun italiano (sicuramente nessun italiano medio) vedrà più quel sito.

S'immagini la potenza censorea di un tale strumento di filtraggio: è lo stesso strumento messo in piedi da qualche anno in Cina, Iran e altre Repubbliche in cui siamo in lieta compagnia.

Il problema è generale, le nazioni occidentali calcano passo dopo passo le orme cinesi che mirano a limitare e a bloccare la diffusione delle informazioni, in poche parole stanno mettendo su i sistemi per censurare Internet.

Concludo con quello che dicevano i padri di Internet:

«Mi preoccupa il fatto che fra 10 o 15 anni, mia figlia verrà da me e mi dirà "Papà, dov'eri quando hanno tolto la libertà di parola in Internet?"»
Mike Godwin, Electronic Frontier Foundation

«L’unico modo per assicurare la sopravvivenza della democrazia è avere la garanzia che il governo non controlli la possibilità dei cittadini di condividere informazioni e di comunicare.»
Ian Clarke, fondatore di Freenet



Il più importante giornale on-line che tratta di Internet, Punto-Informatico, fa questo commento per voce del suo direttore Paolo De Andreis:

Roma - Se c'è qualcosa che non va giù a chi frequenta la rete da tanti anni, a chi ha vissuto il suo sviluppo come speranza di un'umanità migliore, è la censura. Non sorprende quindi l'indignazione che ha scatenato la notizia pubblicata da Punto Informatico secondo cui possono e vengono effettivamente bloccati in Italia alcuni IP esteri (notizia 1, notizia 2,  commento di Vittorio Bertola, ndr). Server e siti che diventano così irraggiungibili agli utenti internet del Bel paese.

Oggi il blocco di un IP, una procedura di recentissima adozione in Italia, funziona così: le forze dell'ordine, i "cybercop" che non si occupano solo di calcio e P2P ma di una grande varietà di crimini informatici, informano il magistrato inquirente dell'opportunità di chiudere l'accesso ad un IP per far cessare un reato, oppure per boicottare un sito illegale. Questi, se lo ritiene, gira la proposta alla Procura ed è un magistrato, per legge "super partes", a decidere se emettere o meno un decreto di blocco IP.

Questa è la procedura che viene adottata oggi e che, pur tra le claudicanti leggi nostrane, si propone come garanzia per il cittadino, quella che rende giustificabile un atto di censura per gravi ragioni. Di casi in cui il blocco viene e sarà sempre più utilizzato ce ne sono tanti, il più eclatante dei quali è il pedoporno: molti siti all'estero non possono essere sequestrati dall'Italia, in assenza di una collaborazione forte da parte delle autorità del paese dove i siti si trovano o dove risiedono i loro gestori. Ma talvolta sono siti che commerciano immagini alimentando il business dello sfruttamento e della violenza. La risposta dei cybercop italiani a questo, oggi, è quasi scontata: blocchiamo l'IP ed impediamo agli utenti italiani, volenti o nolenti, per errore o per dolo, di incrementare questo business.

Ed è ovvio, vista l'unanime avversione per il più spregevole di tutti i delitti, che bloccare l'IP di un sito pedopornografico non produrrà mai quel mare di polemiche che ha suscitato quanto raccontato da PI. Questo perché, in quel caso lì, la censura non si è indirizzata verso un sito di violenze, ma ha preso di mira un server cinese in quanto da quel server era possibile, con strumenti a disposizione di tutti, scaricare e diffondere immagini di proprietà di SKY. Il blocco dell'IP, che Telecom ed altri hanno già attivato perché così richiesto dal magistrato, non è quindi legato ad un abietto caso di violenza su bambini ma ad una questione di diritti d'autore e diritti televisivi.

In sostanza, si è preferito ricorrere al blocco dell'IP anziché richiedere ai gestori dei server cinesi, clienti di SKY e tenuti alla distribuzione di quei contenuti solo sulla televisione locale, di aggiornare le proprie infrastrutture di sicurezza. Basterebbe includere nel contratto di licenza dei diritti televisivi anche una clausola di sicurezza per evitare che possa aver luogo una distribuzione non controllata, come avveniva grazie a P2P e software multimediali.

Ed è questo che preoccupa. Perché se può essere tollerabile, probabilmente non per tutti ma di certo per molti, che venga inibito tecnicamente l'accesso ad un sito che distribuisce e lucra sul pedoporno, diventa intollerabile che la medesima operazione si esplichi per una questione di proprietà intellettuale. E questo perché impedire ad un individuo adulto di verificare di persona, impedirgli a monte di scegliere e determinare i propri comportamenti, fossero anche degli illeciti, è fatto assai più grave del dolo commesso ai danni di diritti secondari. SKY evidentemente non può far altro che querelare chi ritiene violi i propri diritti, la Guardia di Finanza ha dalla sua il dovere di occuparsene e di definire le dinamiche del reato che viene compiuto, il Pubblico ministero ha poi l'obbligo di verificare e seguire le inchieste ma è il magistrato super partes quello che deve capire se una misura di censura sia o meno giustificabile.

Ed è qui che il nostro sistema si rivela fallato. E questo non perché i magistrati sbaglino, se accade è naturale che accada, errare è caratteristica intrinseca del nostro essere uomini, ma perché tutto questo avviene in una condizione di semi-clandestinità. Quanti sono oggi gli IP bloccati? Quali sono? Chi ha deciso di bloccarli e con quali motivazioni? In base a quali indagini? A quali denunce? E con quali procedure?

Come è emerso in recenti casi di indagini sulla criminalità informatica, ancora una volta è la normativa italiana a segnare il passo. Da un lato consente ad un magistrato, come è giusto che sia, di poter intervenire con tutta l'autorità dello Stato per rimediare a situazioni di estrema gravità, dall'altro però nega una vera trasparenza su provvedimenti che non riguardano solo gli indagati ma l'intera popolazione. E lo nega anche e persino per le decisioni più controverse, sottraendo così ai cittadini uno dei loro diritti essenziali, quello di poter conoscere e giudicare il funzionamento dello Stato.

Tutto questo pesa sulle promesse della rete, sul suo sviluppo e sulla possibilità che una nuova umanità più coesa e più consapevole delle proprie diversità si affermi davvero. Sì, perché intervenire sulle cose della rete, mettere dei paletti alle possibilità di scelta delle persone, ingabbiare la loro navigazione e farlo senza dichiararlo con chiarezza, senza inserire in un sito web accessibile a tutti ogni informazione su una censura che si è ritenuta inevitabile, è drammaticamente pericoloso.

Parliamoci chiaro: in ballo non c'è il rapporto più o meno dinamico tra cittadino e cosa pubblica, c'è invece la necessità di impedire il soffocamento di uno strumento che non sappiamo dove ci sta portando ma sappiamo che è la via ad una nuova evoluzione. Finché mancherà una trasparenza assoluta su decisioni di questa portata non solo è giusto sottoscrivere l'indignazione generale ma è anche necessario chiedere alle forze politiche, tanto più che siamo praticamente sotto elezioni, di dire cosa ne pensano, di esprimersi sull'argomento e di chiarire la propria posizione in merito alla rete, e di farlo per una volta volando, perché i diritti fondamentali risiedono molto più in alto delle logiche di mercato, tanto che spesso ci si dimentica della loro esistenza.

Paolo De Andreis

Kensan.it




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Questo articolo è stato commentato 3 volte.

Ultimo commento inserito da Anonimo martedì 31 gennaio con il titolo: Solito dilemma.

Commento:

Il solito dilemma è: fermo restando che la libertà di parola è sacrosanta, a che puinto tale libertà si trasforma in abuso? È abuso il bombardamento mediatico. È abuso l'estremismo. È abuso la censura delle malefatte di qualcuno. È abuso la divulgazione di menzogne a fini politici, commerciali, pubblicitari...
È abuso anche solo parlare male di qualcuno o di qualcosa ignorandone apposta le azioni positive.
Spesso si confonde la libertà di parola ed espressione con la libertà di fare del male a parole. E d'altro canto, chi ha la coscienza sposrca molto spesso si sente ferito o vede del male dove male non c'è.
Quindi... la questione non mi pare posta nei termini corretti. Non è una questione di "libertà di parola". Non è in discussione la libertà di parola, di espressione, di divulgazione di idee, quanto piuttosto di vedere se e come è possibile prevenire gli abusi, siano essi la censura o l'insulto.



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modifica: 3 feb 2006
argomento: Internet, articoli: Gestione dei contenuti di kensan.it (CMS), Prima censura in Italia ad Internet (censura alla cinese), Filtri Bayesiani, Internet e Antonio Di Pietro, Internet di una volta, Telnet per i Newsgroup, Vendite di Smartphone Huawei

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